L’emergenza Covid ci insegnerà l’importanza dell’evidenza scientifica?
Tante persone sostengono che il coronavirus cambierà il nostro modo di essere, di rapportarci agli altri e la percezione che abbiamo delle cose. Questa emergenza sanitaria ha costretto quasi tutti noi a cambiare le proprie abitudini e il proprio modo di vivere.
Occorre quindi riflettere se nel periodo post Covid ci sarà una maggiore riconoscenza verso il settore sanitario e una percezione più giusta di quanto siano importanti la comunità scientifica, la ricerca e il lavoro basato sulle evidenze.
Basti pensare che, ad oggi, siamo tutti in attesa di un vaccino anti Covid e fino a non troppo tempo fa (anche se sembra una vita fa) c’erano persone disposte a fare false autocertificazioni perché non volevano vaccinare i propri figli con farmaci in commercio da anni e con efficacia dimostrata da numerosissimi studi.
Dopo questa emergenza sanitaria, si spera che sia chiara l’importanza nelle malattie infettive (che si trasmettono da individuo a individuo) di una copertura su larga scala nella popolazione (la cosiddetta immunità di gregge) o perché tante persone sono state vaccinate o perché gran parte delle persone hanno contratto la malattia e quindi hanno sviluppato gli anticorpi.
Purtroppo, false notizie girano continuamente: nell’ambito medico ci sono false credenze e falsi miti difficili da sradicare. Alcune vengono alimentate da canali mediatici, altre da passaparola e altre ancora da personale sanitario poco aggiornato in materia. Alcune possono anche far sorridere, ma nella realtà dei fatti vengono comunque seguite da persone con scarsa preparazione e istruzione.
Per esempio, per quanto riguarda il coronavirus il Ministero della Salute ha stilato una serie di fake news: dai trattamenti ayurvedici, lo yoga e la respirazione che proteggerebbero dal virus, al sudore emesso durante l’attività fisica che sarebbe in grado di eliminarlo, fino al miele che avrebbe un’azione antibatterica e disinfettante nei confronti della malattia.
Purtroppo, manca proprio la cultura della scienza e pochi comprendono l’importanza delle “prove scientifiche”: la medicina infatti non può procedere per teorie valide perché secondo quel dottore funziona o perché una terapia ha fatto bene a qualche nostro conoscente.
Dietro alla medicina basata sulle evidenze ci sono studi scientifici che raccolgono dati e confrontano con rigore metodi e risultati, analizzati da diversi esperti in materia. Un buon medico deve saper integrare le migliori prove scientifiche provenienti dalla ricerca con l’esperienza clinica e i valori del paziente. Quest’ultimo da parte sua deve essere informato della terapia che va ad intraprendere.
Ad esempio, nel tanto celebre “caso Stamina” che a lungo ha occupato dibattiti mediatici, il dottor Vannoni proponeva la somministrazione di cellule staminali mesenchimali per la cura di molte patologie con una scarsa trasparenza su protocolli e risultati ottenuti, oltre ad un’assenza di pubblicazioni scientifiche che ne illustravano il metodo utilizzato.
Oppure nel caso molto più diffuso dell’omeopatia. Anche se vengono prescritti da molti medici, e se vengono usati da molti pazienti, gli studi che sono stati effettuati sino ad oggi non sono stati in grado di dimostrare l’efficacia di questi farmaci. I principi attivi sono stati diluiti così tanto che è probabile che si tratti solo di innocua acqua: non fa certamente male, ma sul fatto che possa far bene ad oggi non ci sono prove.
Nel campo riabilitativo, come nel resto della medicina, ci sono diversi approcci e tecniche che scarseggiano di prove di efficacia e altri privi di qualunque appoggio attendibile dal punto di vista medico e non di rado proposti da personale non qualificato.
Vi sono infatti numerosi studi che dimostrano che sentirsi dire “che brutta schiena che ha, signora!” non fa altro che incrementare la catastrofizzazione e la paura del movimento, elementi che aiutano solo a cronicizzare un dolore alla schiena.
Così come leggere su un referto di una risonanza magnetica che la propria schiena ha diverse protrusioni o dischi assottigliati, equivale a dire “ha molti capelli bianchi”: il fatto di avere un’ernia non vuol dire nulla se non è correlato alla clinica. Deve essere il medico specialista a fare la diagnosi e ad impostare un programma riabilitativo, che il terapista poi decide come applicare nel modo più adatto al singolo paziente.
In letteratura ci sono diversi studi che dimostrano come vi siano soggetti che presentano ernie alla colonna vertebrale ma che sono del tutto asintomatici. Purtroppo, però arrivano ancora pazienti spaventati da queste informazioni o convinti che l’osteopata di fiducia con una manipolazione ha fatto rientrare l’ernia presente da decenni.
In ISICO trattiamo le patologie correlate alla colonna vertebrale, un campo strettamente legato al concetto di postura che viene spesso affrontato con un ventaglio di proposte non sempre basate su prove di efficacia.
Questo a volte non crea problemi, mentre altre volte fa perdere tempo e soldi al paziente, ritardando l’inquadramento e la cura corretta del paziente.
Basti pensare al caso della scoliosi, una patologia che tende a peggiorare con la progressiva crescita del ragazzo: un conto è iniziare una terapia a 20°, un altro a 40°. Le possibilità di trattamento si riducono drasticamente e si rischia di dover ricorrere a terapie più invasive, solo perché non è stata proposta una scelta coerente con la situazione.
Spesso i pazienti o gli altri colleghi ai corsi ci chiedono della possibile correlazione tra la scoliosi e la masticazione, l’occlusione dentale, la posizione dei piedi o delle ginocchia. Sono per ora tutte teorie che non trovano un fondo di verità scientifica. Forse un domani bisognerà rivedere questa posizione perché verranno raccolti dei dati che confermano queste correlazioni, ma per ora non è etico proporre delle terapie basate su queste teorie.
Ad oggi quello che ci dice la letteratura scientifica è che per il trattamento della scoliosi abbiamo diverse frecce al nostro arco da poter usare: osservazione, esercizi, corsetti (di diversi tipi e con diversi dosaggi) e nei casi più gravi la chirurgia.
E’ fondamentale saper proporre la terapia corretta al paziente e “corretta” significa che abbia avuto prove scientifiche di efficacia. Gli esercizi specifici, che comprendono anche l’autocorrezione della colonna, sono parte attiva e importante della terapia, oltre che efficaci come comprovato dalla ricerca (“Specific exercises reduce the need for bracing in adolescents with idiopathic scoliosis: a practical clinical trial“), a differenza della ginnastica generica che come altre attività sportive, per quanto possano avere effetti positivi (“Sport activity reduces the risk of progression and bracing: an observational study of 511 JIS and AIS Risser 0-2 adolescents“), non sono terapeutiche alla patologia.
Martina Poggio
Commenti
Commento di Michela
Il 04/05/2020 alle 15:19 Buongiorno, vorrei fissare un appuntamento presso il vostro centro, ho 37 anni. Volevo sapere se visitate scoliosi anche di età adulta. Grazie |
Il 06/05/2020 alle 09:48 Gentile Michela, |
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Il 23/04/2020 alle 14:03
Complimenti! Sono una collega che segue qualche ragazzino visto dal vostro gruppo. Ho imparato anche in questo frangente..buon lavoro