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Come i genitori devono gestire i momenti di rabbia e sfogo dei ragazzi corsettati?

7 gennaio, 2020 (09:20) Di: Luca Selmi

Combattere la scoliosi è un lavoro di squadra.

E’ un percorso difficile, lungo, a volte estenuante, che vede protagonista il paziente, sotto la guida preziosa e competente del medico specialista, del fisioterapista, del tecnico ortopedico e, se necessario, dello psicologo.

Ma chi, certamente più di tutti, ha modo di supportare il nostro paziente è la famiglia. Vivendo le difficoltà quotidiane insieme al diretto interessato, i genitori sono parte attiva e imprescindibile per lo svolgimento di una buona terapia.

Mi sento di dire che questo ruolo sia addirittura indispensabile perché la terapia inizi.

La diagnosi di scoliosi è spesso una doccia fredda e la prescrizione è quello che nessun adolescente vorrebbe sentirsi dire da un medico. Gli esercizi specifici vengono inizialmente accettati con facilità, ma il corsetto spaventa. In quell’istante si riesce a pensare solamente che nulla sarà più come prima e questo proprio non lo si vuole.

Già in quella situazione il ruolo del genitore è chiave, serve razionalità in un momento di totale emotività del proprio figlio/a.

Noi, come team di specialisti, cerchiamo di rivolgerci in prima persona al paziente, di coinvolgerlo al 100% fin da subito. Diamo spiegazioni, strumenti per interpretare e soprattutto capire quello che è stato deciso e prescritto.

Usciti dalla porta del nostro studio o della nostra clinica, però, è con i genitori che il paziente si sfogherà e sarà loro il compito di filtrare le nostre parole nella maniera migliore.

Chi mi legge probabilmente lo sa bene, nei momenti di difficoltà le risorse che possiamo trovare sono spesso inaspettate e, il più delle volte, si riesce a trovare un equilibrio e seguire le indicazioni mediche in modo preciso.

Come in tutti i lunghi percorsi, però, l’ostacolo è dietro l’angolo e bisogna avere la forza di mantenersi “in carreggiata”.

La rabbia è un sentimento comune e normale nei nostri pazienti, credo comprensibilmente dovuta ad un senso di ingiustizia verso ciò che si sta affrontando.

Anche qui, come all’inizio, la squadra deve essere pronta a scendere in campo, con in prima linea i genitori.

Come gestire un momento di rabbia e difficoltà del proprio figlio nei confronti della terapia?

Sicuramente con comprensione, ricordando che quello che per noi adulti è secondario per un adolescente non è scontato lo sia. La rabbia è una forma di espressione di un disagio e i motivi possono essere diversi.

Il genitore deve porsi come un riferimento, una valvola di sfogo, per aiutare il figlio a riconoscere e a esprimere correttamente la rabbia che prova verso la difficile situazione che sta affrontando e per poi riuscire a portare l’attenzione su un piano razionale, ripercorrendo le tappe affrontate e superate fino a quel punto.

Il genitore deve essere il primo a credere e sostenere il percorso terapeutico per tutta la sua durata, avendo piena fiducia nel medico e responsabilizzando il figlio sul non mollare. Per loro è un momento, spesso il primo nella vita, in cui devono affrontare una difficoltà a livello personale.

Se riusciranno a gestire la rabbia e accettare un compromesso tra quello che si vuole e quello che si può fare, rispettando la terapia, avranno la dimostrazione di come le situazioni difficili con un po’ di pazienza e con l’aiuto di chi ci è vicino si possano superare.

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