Il blog di Isico dedicato alla scoliosi
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I figli sono qualcosa di più di ossa dritte o storte

3 febbraio, 2021 (13:28) Di: Il team di ISICO

Buongiorno,
Vorrei porre alcune domande che mi ronzano nella mente…. Onde evitare di trasmettere dubbi e perplessità alla mia bambina cui, a sette anni, è stata riscontrata una scoliosi dorso lombare di 22 gradi. Ce ne siamo accorti a causa di un’asimmetria delle anche e degli angoli della taglia. La bambina non presenta gibbo tanto che inizialmente si pensava ad un atteggiamento scoliotico, ipotesi tradita dalla radiografia da cui è emersa una lieve rotazione vertebrale.
Le è stato prescritto un corsetto Cheneau e fisioterapia per rafforzare ed allungare la muscolatura essendo la bambina piuttosto esile. Infatti, tutto sembra nato da un apparato muscolare sproporzionato rispetto alla crescita scheletrica. Abbiamo iniziato il nostro percorso con il corsetto da una decina di giorni. Lei si lamenta del dolore ma soprattutto del suo sentirsi diversa dalle compagne di scuola. Immagina e spera che il percorso di cura possa risolversi in un anno e mezzo circa…. Mentre io leggo spesso che il percorso non si concluderà prima della maturità ossea che avviene generalmente intorno ai 16-18 anni. La cosa mi fa molta paura ed il pensiero mi tormenta, soprattutto perché lei stessa dice che la sua infanzia sarà triste per via del corsetto che la rende diversa……ed io mi sento un carnefice che la sottopone ad una tortura cinese ogni volta che le infilo il bustino e glielo allaccio stretto mentre lei mi dice che le fa male e non riesce a respirare…. Inutile dire che io cerco di starle vicina, consolarla, dirle che si tratta di uno strumento di cura come l’apparecchio per i denti o gli occhiali, che serve alla sua salute… Ma sappiamo tutti che il corsetto a sette anni…. Non è come gli occhiali o l’apparecchio, è molto più ingombrante e limitante, soprattutto, è molto meno visto. Nella sua scuola lei è l’unica ad indossarlo per esempio! E lei ne soffre.

Detto ciò…. Vengo alla mia domanda… Posso sperare che una correzione della curva fino a 15 gradi per esempio… Determini la possibilità di togliere il corsetto tra due/tre anni? Magari proseguendo con gli esercizi ed i controlli periodici? Oppure anche abbassando la curva sotto il limite indicato per la prescrizione d corsetto di 20 gradi… Dovrà comunque continuare ad indossarlo?
Cosa posso aspettarmi nella migliore delle ipotesi? E cosa posso fare per ottenerlo? Vorrei evitare alla bambina l’infanzia e l’adolescenza segnate interamente da questa esperienza… Se posso….. Leggendo i vostri consigli mi hanno colpito molto le parole del Prof Stefano Negrini che, a mio avviso molto puntualmente, ha sottolineato l’importanza di tenere sempre a mente la psiche dei bambini e la loro serenità.
Cosa fare allora? Ho consultato diversi specialisti ed alcuni mi hanno consigliato di far indossare per ora meno ore il corsetto, onde evitarne un rifiuto, per aumentare il numero delle ore durante la spinta puberale. Altri, al contrario, hanno suggerito una terapia più aggressiva al momento, con maggior numero di indossamento del corsetto per ridurre un po’ alla volta e portarlo meno anni. Qualcuno suggerisce di farlo indossare di giorno perché la patologia si cura sulle tre dimensioni ed in presenza di forza di gravità e che la notte non ha alcun valore l’uso del corsetto. Qualcun altro dice che sia meglio di notte perché meno di impatto psicologico e comunque efficace come di giorno. Insomma…. Cosa fare? Un genitore che vuole fare il meglio per il proprio bambino…… Non sa cosa fare…. Troppe opinioni diverse e teorie in contraddizione tra loro. Impossibile porre domande ai medici cui ci si è rivolti in quando si sentono messi in discussione nella loro professionalità e nel loro essere dei luminari e reagiscono male. Che brutta sensazione uscire da una visita con un medico che hai scelto e non essere sicuri di cosa si stia facendo. Diventa difficile capire a chi affidarsi e come comportarsi nell’interesse psico – fisico del proprio bambino.
Perdonate lo sfogo, la situazione della mia bambina è meno drammatica di altre lo so… Ma I figli non sono mucchi di ossa dritte o storte…. E ciascuno vuole preservare al meglio delle sue possibilità la serenità e la salute del proprio bambino. 

Rispondono alla Sig.ra Marinella il Prof. Stefano Negrini e la psicologa dr.ssa Irene Ferrario

La risposta del Prof. Stefano Negrini
La sua storia mette il dito in una delle piaghe in generale della medicina ed in particolare del trattamento della scoliosi. E’ uno degli insegnamenti che spero ardentemente il COVID lascerà non solo a noi medici e scienziati, ma anche a tutta la popolazione che purtroppo negli anni si è lasciata affascinare da teorie senza alcuna prova scientifica, in Italia (da Stamina per le gravi neuropatie dei bambini al metodo Di Bella per il tumore) ma anche nel mondo (i no-vax su tutti).

Un vecchio adagio dice: “La tragedia della scienza è quante splendide teorie sono state rovinate da pochi spregevoli fatti”. Le nostre teorie personali non sono scienza, perché scienza è prendere atto dei fatti (e questo autorizza, ad esempio, a smentire totalmente e con grande forza chi sosteneva che il “virus era clinicamente morto” durante l’estate). Non avere la scienza alla guida delle nostre scelte è l’errore più grosso che si possa fare in salute, anche nel caso della scoliosi. Vale per i medici così come per i pazienti.

Esiste poi però l’interpretazione dei dati scientifici, che provoca ulteriori scollamenti tra chi pratica la medicina. Ci sono ambiti in cui gli scollamenti sono piccoli perchè ci sono tante e forti prove scientifiche, ed altri ambiti in cui la distanza è tanta tra i clinici, e ci sono ancora tante teorie perchè ci sono ancora poche evidenze scientifiche – ed è questo il campo della scoliosi e delle deformità vertebrali, ancora di più per il trattamento non chirurgico. Abbiamo pubblicato qualche anno fa la difficile situazione della ricerca non chirurgica prima di contribuire alla fondazione di SOSORT – la Società Scientifica mondiale che ben 3 di noi in ISICO hanno presieduto per un anno nei suoi 15 anni di vita, testimoniando quanto la nostra struttura si stia impegnando nel far crescere le conoscenze scientifiche nel campo. La prima risposta al suo intervento quindi è: scienza, ne abbiamo bisogno tutti di più. A livello personale un genitore è più tutelato se si rivolge a chi pratica scienza e non teorie.

C’è poi un’altra (triste) considerazione rispetto al nostro paese. E’ dimostrato che ci vogliono dai 5 ai 10 anni prima che i nuovi risultati della ricerca diventino clinica quotidiana. Per chi non parla inglese questo tempo raddoppia. Ecco, forse nessuno ci ha mai pensato, ma verificare se il proprio medico è in grado di leggere l’inglese consente anche di capire se può essere aggiornato sugli ultimi risultati della ricerca, pubblicati in inglese e non in italiano.

Poi c’è l’aggiornamento, oggi in Italia obbligatorio per legge in sanità, che però non tutti praticano con la giusta convinzione e regolarità, soprattutto se è “collaterale” alla loro pratica professionale principale. E’ dimostrato che le conoscenze raddoppiano in meno di 5 anni: come dire che se non ci si aggiorna si è completamente fuori dalla scienza in pochissimo tempo. Come si può pensare di continuare a fare il medico con quello che si è imparato all’Università tanti anni fa? Ecco perchè si deve apprezzare un medico che invia da un altro specialista (ma anche un medico di famiglia) ogni volta in cui si senta inadeguato ad affrontare una certa situazione clinica. Orgoglio professionale oggi non dovrebbe essere affrontare tutto, bensì indirizzare correttamente il paziente tutte le volte che le richieste escono dagli ambiti delle nostre reali competenze. Ovviamente obbligo professionale è anche affrontare tutto quanto rientra nel proprio ambito di competenza e farlo al meglio. Eco allora un’ulteriore risposta: guardate la sala d’attesa e verificate di che cosa di occupa realmente e principalmente il medico da cui siete andati.

Ancora, ci sono gli interessi personali e professionali. Qualche anno fa, da Presidente di SOSORT, parlavo a tavola con il Presidente della SRS (la società mondiale più vecchia sulla scoliosi, dedicata soprattutto alla chirurgia) – un bravissimo clinico e chirurgo con buona pratica anche non chirurgica.
Mi disse: “Vedi, la differenza tra te e me è che i tuoi casi complicati (scoliosi chirurgica che si cerca di strappare al tavolo operatorio) sono invece i miei casi semplici (perché facili da operare)”. In pratica mi stava dicendo che lui studia tutti i casi che io non studio, ma anche che io studio quelli che non studia lui. Come può oggi un chirurgo della scoliosi essere aggiornato quanto un professionista che dedica la sua vita ed il suo studio al trattamento non chirurgico della scoliosi? Oltretutto è anche una questione di “passione” e di “interesse”. In questo senso, come stupirsi che un chirurgo dica di fronte ad una certa situazione “io mia figlia la opererei” mentre un non chirurgo dice “io mia figlia non la opererei” – questo la dice lunga su come, di fronte alle scelte difficili in medicina, si debbano sempre sentire più opinioni e poi capire quello che ognuno sente corretto fare per se stesso, ed ancor di più per i propri figli.
Quindi altra risposta è: sentiti i pareri, qual è la scelta che lei “sente più corretta” tenendo presente i vari fattori che ha potuto conoscere ed approfondire?

In questa lunghissima lista, ci sono poi gli aspetti personali. Fa male sentire che ci sono colleghi che si “offendono” quando i pazienti chiedono qualcosa!
“Shared decision-making” – decisioni condivise con il paziente, “personalized medicine” – medicina personalizzata, sono parole chiave di una medicina moderna. Parlare e condividere le scelte con il paziente non è scaricarsi dalle proprie responsabilità, ma supportarle tutte fine in fondo sapendo che cosa il paziente preferisce ed è disposto ad accettare. Ci si deve dotare di strumenti moderni di comunicazione e condivisione delle informazioni. Solo un paziente informato adeguatamente (ed in parte questa responsabilità è anche sulle spalle del paziente) sarà soddisfatto, perchè sarà in grado di capire i pregi e i limiti della terapia che si sta affrontando. E se “Doctor Google” è spesso disinformante, aiuta però a sviluppare tutte quelle domande a cui un professionista preparato saprà rispondere adeguatamente (e convincentemente) aiutando il paziente a fare le scelte giuste per sé e per il successo terapeutico, che non è mai lo stesso per tutti i pazienti – dipende dalla condizione clinica e dalle scelte che il paziente è disposto a fare. Quindi un’altra risposta è: si fidi del medico che la informa e che le risponde.

Infine la fiducia. Il rapporto medico paziente è sempre un rapporto umano basato sulla relazione, e se questa relazione non c’è, se manca anche solo da una delle due parti, allora le scelte non saranno mai ponderate sulle necessità della persona ma saranno solo scelte tecniche. Spero che si esca gradualmente da questa lunga fase della medicina in cui i pazienti non sono malati ma malattie, in cui il medico è solo un tecnico della malattia, oltretutto con l’obbligo del risultato.
Spero che il COVID abbia insegnato almeno questo – che in medicina il risultato non è mai garantito, e che ci sono fattori umani enormi che non si possono mai trascurare. I medici o gli infermieri dei reparti COVID che parlavano con parenti disperati e offrivano i telefonini per videochiamate sono una testimonianza per entrambi i lati di questa immaginaria barricata che abbiamo creato quando si è preteso di rendere la medicina solo una questione tecnico. La medicina è un fatto pienamente umano. Sono di più le malattie che non possiamo “sanare”, mentre possiamo sempre “curare” tutti i pazienti, offrendo loro il massimo della tecnica, ma anche tutta l’umanità di cui hanno bisogno.
La medicina oggi non è più quella solo in grado di tenere la mano del paziente e confortarlo, al contempo però non deve essere neanche quella spersonalizzata a cui tutti insieme l’abbiamo ridotta nel corso del ‘900. Ecco quindi la risposta finale: fiducia, e relazione, e guardarsi negli occhi, e condivisione. Insomma, un rapporto interpersonale. Questo è determinante quando si deve affrontare un lungo viaggio insieme come nel caso della scoliosi. Implica però anche una scelta da parte del paziente, un vero e proprio atto di fiducia che ad un certo punto va fatto – dopo aver finito la giusta fase esplorativa. Non scegliere, mantenere il germe del dubbio, continuare a verificare con ulteriori opinioni le scelte operate, porta alla confusione che è nemica di un buon risultato.

Mi rendo conto di essermi dilungato, ma il suo intervento conteneva troppi spunti importanti per non affrontarli tutti e bene. Auguri a lei ed alla sua splendida bambina, che certamente non è e non sarà mai un “mucchio di ossa dritte o storte”. Un bacio a sua figlia che non conosco, ed una pacca sulla spalla a lei per il viaggio da affrontare e per il ruolo di genitore che dovrà sostenere in questi anni. Le sia di conforto il fatto che chi affronta per anni la scoliosi e riesce ad affrontarla bene, contando sull’aiuto di persone preparate ed umane, cresce più forte non solo nel carattere, ma anche negli strumenti per affrontare la vita. Le difficoltà si possono superare con la costanza e l’aiuto di chi ci vuole bene ma anche di chi ha le competenze per farlo, con scienza e coscienza ed umanità.

La risposta della dr.ssa Irene Ferrario
Cara Marinella,

ha ragione: trovare un equilibrio tra il benessere psicologico dei propri figli e quello che è necessario fare per la loro salute non è sempre facile, soprattutto se gli specialisti a cui ci si rivolge si contraddicono tra loro, generando nei genitori confusione invece di fiducia. È vero che in questi casi non si sa più come comportarsi e si perde di vista il senso della terapia che si sta seguendo. Infatti, lei scrive, di sentirsi “un carnefice che la sottopone ad una tortura cinese ogni volta che le infilo il bustino” quando, in realtà, si sta prendendo cura di sua figlia. È vero che il corsetto non è come l’apparecchio ortodontico o gli occhiali, è più ingombrante e soprattutto non è d’uso comune, cosa che ci porta ad essere più diffidenti nei suoi confronti. Per questo è importante cercare di rendere “normale” il più possibile il corsetto non solo con chi lo deve indossare, ma anche con gli amici, i compagni di classe e i familiari. Chi porta il corsetto non è qualcuno da compatire e i genitori che supportano i figli in questo percorso non sono degli aguzzini.

Normalizzare e socializzare il corsetto aiutano a ridurre la sensazione di sentirsi diversi e ad affrontare con maggiore serenità gli anni dell’adolescenza. Ricordiamoci però che la sensazione di sentirsi diversi è comune a tutti gli adolescenti, corsettatti e non!

Non è il corsetto in sé a rovinare l’infanzia o l’adolescenza, ma è il modo in cui lo si vive che può costituire un problema. Questo però per fortuna si può modificare. A volte si riesce a farlo da soli, altre volte può essere utile confrontarsi con uno psicologo per trovare il supporto necessario a riposizionarsi rispetto alle difficoltà che ci si trova a dover affrontare.

Posso immaginare la sua difficoltà di fronte all’incertezza della terapia. Le auguro di trovare lo specialista giusto a cui affidarsi con fiducia per la cura di sua figlia.

 

Commenti

Commento di Elisabetta Mollica
Il 03/02/2021 alle 21:58

Condivido tutto ció che scrive il dottor Negrini!!! La nostra Gaia ha finito il suo percorso il 9 dicembre 2020. Un percorso durato 12 anni, iniziato a soli 4 anni quando le è stata riscontrata una scoliosi di 46 gradi. Una scoliosi che ha gettato noi genitori nello sconforto, reso ancora più cupo dall’incompetenza, dall’indecisione di tanti medici consultati prima di arrivare a Isico. Qui oltre alla scienza e alla conoscenza abbiamo trovato degli esseri umani: il dottor Zaina che non ha mollato Gaia neanche per un attimo, ha saputo essere paziente umano ma anche fermo quando nostra figlia ha tentennato; Michele Romano che le ha insegnato i primi esercizi; Luigi Barbarossa che con tanta pazienza la stimolava a non arrendersi! Ad ogni controllo ci invitavano a guardare la luce in fondo al tunnel….. noi possiamo solo dire GRAZIE a tutti per la competenza, la professionalità ma soprattutto per l’umanità!!! Cara signora Marinella si affidi ad Isico, si armi di tanta pazienza e forza da dare a sua figlia, le auguro ogni bene

Commento di Claudia Fiori
Il 06/02/2021 alle 09:18

Buongiorno a tutti, sono la mamma di una bambina di 12 anni a cui un medico Isico ha refertato una scoliosi con doppia curva di 45°. Per noi è stato un fulmine a ciel sereno perchè prima di ora non avevamo mai notato alcun segnale purtroppo, e questo acuisce ancora di più il nostro dolore, perchè accorgendocene prima si sarebbe potuto forse evitare un peggioramento. E’ di questo che ho molta paura, mi spaventano queste curve gravi,mi spaventa il fatto che abbia tutta la crescita davanti (risser 0),mi spaventa la velocità di progressione con cui la scoliosi potrebbe peggiorare, mi spaventa dover affrontare questo percorso lungo e difficile e non essere in grado di sostenere la mia bambina nella sua lunga battaglia. Mamme che avete già iniziato
questo cammino,ditemi per favore dove si trova la forza? Vorrei inoltre sapere dallo Staff di Isico se anche delle curve così gravi possono migliorare, sono disperata e mi sembra tutto così difficile.Grazie

Commento di Martina Poggio
Il 18/02/2021 alle 08:26

Buongiorno Claudia,
capisco bene cosa scrive perché mi è già successo con altri genitori che si trovassero spiazzati davanti ad una diagnosi improvvisa di scoliosi grave.
Intanto mi permetto di dirle di non sentirsi in colpa, per quanto lei tenga sotto controllo sua figlia, la scoliosi è una patologia un po’ subdola che può peggiorare velocemente. Tante volte quando iniziamo ad accorgerci di asimmetrie dall’esterno, è facile poi riscontrare qualcosa anche in radiografia. Magari asimmetrie che fino a pochi mesi prima non si vedevano neanche, compaiono velocemente e in modo inatteso.
Come mamma le posso consigliare di stare vicina a sua figlia, una spalla su cui appoggiarsi è importante in un momento così delicato. Si stupirà però della forza della sua bambina, perchè il più delle volte riescono ad affrontare il problema e gestire la terapia con una forza inaspettata. La cosa più importante è come vivono (e come facciamo vivere) la situazione: è importante che riescano a capire che il problema è la scoliosi e non il corsetto.
E’ fondamentale non nascondere il problema, ma parlarne con gli amici che ha intorno. Magari iniziando dalle amiche a lei più care.
Parlarne e confidarsi con qualcuno è anche il consiglio che posso dare a lei, la sua paura e i suoi dubbi sono comuni e condividerli con qualcuno potrà sicuramente aiutarla ad affrontarli.
Infine sugli obiettivi della terapia ogni storia è diversa: da quanto scrive sarebbe già un buon obiettivo frenare l’evoluzione della scoliosi. La crescita residua è un po’ la benzina per la scoliosi, quindi avete ancora davanti una strada lunga. Deve essere questo motivo per lavorare ancora meglio. Se non possiamo agire sul grado di aggressività della scoliosi, possiamo però cercare di lavorare con ancora più determinazione con corsetto e esercizi. Da quanto ho capito non ha ancora indossato il corsetto, ora l’importante è iniziare la terapia. Aderendo al trattamento con determinazione e costanza avete alte probabilità di ottenere ottimi risultati estetici, di arrestare l’evoluzione della scoliosi e perchè no, anche di ridurla.
Vi auguro buona fortuna in questo percorso.
Martina Poggio

Commento di Anna
Il 16/02/2022 alle 16:27

Buonasera, all’età di 9 anni è stata diagnosticata a mia figlia una scoliosi idiopatica con 30°cobb. Prescritto corsetto. All’inzio è riuscita ad indossarlo alcune ore il giorno e durante la notte. Da circa un anno ha un totale rifiuto verso il corsetto. Riesco a farglielo portare solo la notte e infatti in un recente controllo ortopedico mi dicono che è peggiorata, immaginate la mia disperazione. documentandomi sono venuta a conoscenza di un corsetto notturno il providence. chiedo delucidazioni in merito non trovando altre informazioni al riguardo. è una alternativa valida? non so più cosa fare.
grazie a chi mi può aiutare in questo difficile momento .

Commento di Lorenza
Il 13/05/2022 alle 12:03

Buongiorno a tutti…
Sono una mamma di 45 anni, che ha portato il busto dai 12 ai 16… e sono mamma di una ragazzina di 11 che ha appena iniziato a metterlo. Vorrei tranquillizzare le mie “compagne di busto” e anche le loro mamme. Ricordo gli anni passati imbustata… la bronchite in piena estate a causa del caldo e della canottiera sempre bagnata, all’epoca non c’erano i condizionatori, niente mare perché non avrei potuto, niente piscina, me ne stavo in casa a leggere e il massimo era quando andavo dalla nonna a 60 km e potevo giocare con mia cugina, che si adattava a stare in casa con me perché fuori faceva troppo caldo! Non si parlava in casa del busto, non mi chiedevano come stavo… lo dovevo portare, e così facevo, ligia alla terapia. Non ricordo che i miei genitori abbiano avvisato a scuola del mio disagio, non mi sono sentita da “ compatire” perché attorno a me lo prendevano come “ una cosa da fare”. Probabilmente questo mi ha anche aiutato ad essere aderente alla terapia. Insomma nessun riguardo particolare alla mia condizione, se non il “non andare al mare “di tutta la famiglia! Certo , ci sono state situazioni spiacevoli, come quando in gita in terza media al mare a Cervia( il massimo…) persi un bullone del mio lionese, e dovendo stare via 4 giorni , siamo andati con due classi dal ferramenta a cercarne uno uguale… che vergogna! Non ho foto di quel periodo, se non quelle di me al piano( unico svago oltre all’odioso nuoto impostomi per la scoliosi) con il ferro del busto che sporgeva dalla schiena. Sono stati anni mediocri… ma psicologicamente si sopravvive … coraggio e determinazione ora li devo passare a mia figlia, consapevole che non è certo una malattia mortale o senza prospettive . Auguri di buon proseguimento a tutti

Commento di Bruno Leonelli
Il 18/05/2022 alle 12:22

Salve Sig.ra Lorenza,
grazie per la sua testimonianza, credo sia prezioso per i ragazzi avere un’esperienza diretta di una persona adulta che ha affrontato il loro stesso problema. Va comunque notato come i tempi siano diversi, così come le terapie e le persone che circondano e aiutano i ragazzi. Oggi facciamo di tutto per ridurre il carico psicologico sul paziente e sulle famiglie. Il suo racconto è importante ed un bel momento di riflessione, che può far capire ai ragazzi come col passare degli anni si stia cercando di migliorare sempre di più la terapia e tutto quello che gli ruota intorno, ma anche che le difficoltà si possono affrontare e uscirne più forti.
Un caro saluto
Bruno Leonelli

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